Ripercorrendo il sentiero dell’Evangelii Guadium, della Laudato Sii, fino a Querida Qmazonia (qa), il popolo di Dio in terra d’America latina sta tessendo esperienze di chiesa in uscita come vuole papa Francesco. Il processo sinodale ci ha ispirati ad ascoltare per sentirci parte della “casa comune” e a riconoscere la diversità culturale come una ricchezza che “abbellisce la nostra umanità” (QA37). Così, camminiamo sapendo che «è possibile sviluppare relazioni interculturali dove la diversità non significa minaccia, non giustifica gerarchie di potere, ma dialogo tra visioni culturali diverse, di celebrazioni, di interrelazione e di rinascita della speranza» (QA 97).
È in questo contesto di diversi sentieri che Fratelli tutti arriva con questa sfida: «Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (Ft 8). Un sogno in sintonia con le ricerche ancestrali dei popoli indigeni, un processo lento e quotidiano.
Papa Francesco offre alcune chiavi di lettura per questo cammino verso una umanità unica. Ne raccolgo quattro che sono in sintonia con il cosmo andino: vivere una cultura dell’incontro, curare le radici, dialogare e costruire un “noi” integrale. Piste che non solo danno luogo a grandi riflessioni e pronunciamenti (Ft 6), ma sono anche indirizzi di modalità integrali per un’azione concreta, quotidiana e costante che incarna la parola. Visitiamo queste piste per lasciarci ispirare.
La “cultura dell’incontro” (Ft 30) provoca vicinanza, restituisce speranza e opera un rinnovamento. L’incontro è uno spazio potenziale dove si avvicinano diverse intraprendenze, ma per renderne possibili i frutti è necessario lasciare le mura individuali, gli schemi mentali stessi che ci dividono tra chi “deve insegnare” e chi “deve imparare”, o le mura sociali dove alcuni gruppi si considerano più degni di altri (Ft 74). Per sperimentare l’intraprendenza nell’incontro è necessario riconoscerci come aventi eguale dignità pur nel rispetto delle diverse identità culturali. «Tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale» (Ft 118).
Viviamo in un contesto storico violentato da una forte tendenza all’omogeneizzazione del pensiero e alla cancellazione della memoria storica. «Se una persona vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani» (Ft 13).
Di fronte a queste “nuove forme di colonizzazione culturale” (Ft 14) è necessario che ogni persona e ogni popolo si assuma la responsabilità di curare le proprie radici perché «a partire dalle nostre radici ci sediamo alla tavola comune, luogo di conversazione e di speranze condivise. In questo modo la diversità, che può essere una bandiera o una frontiera, si trasforma in un ponte. L’identità e il dialogo non sono nemici. La propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel
dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce» (QA 37).
È a partire da questo che possiamo dare un contributo al dialogo assolutamente necessario per una fraternità aperta, senza frontiere, inclusiva. Per il popolo guaranì e per i popoli andini non ci sono confini. Abitiamo tutti la stessa madre Terra che è madre.
«Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”»(Ft 198). Per fare del sogno comune di «un’unica umanità, come viandanti nella stessa carne umana…» una realtà, abbiamo bisogno del dialogo in varie dimensioni. Il dialogo tra le generazioni. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali» (Ft 199), a livello locale, cosa fondamentale perché ogni generazione ha bisogno di guardare a sé stessa e riconoscere le proprie differenze, di condividere i propri doni, le proprie esperienze e preparazioni, di tessere le parole, di ciò che vuole condividere con le generazioni successive e anche di prendere coscienza dei compiti che sono in sospeso. Come possiamo guardare le generazioni del futuro negli occhi e passare loro in consegna il timone della storia, se non ci siamo guardati noi stessi negli occhi mentre cerchiamo di vivere questo momento storico?
Il dialogo globale è importante quanto il dialogo locale. Un dialogo di speranza, non ingenuo, che porta sul tavolo dei conflitti tutte le sfide per «avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia» (Ft 225). Si tratta di un movimento umano che permette la costruzione di politiche, non solo verso gli impoveriti ma con gli impoveriti secondo la logica della simmetria delle relazioni, l’equa distribuzione della ricchezza e la partecipazione attiva al processo decisionale. Per costituire così un « “noi”che abita la Casa comune» (Ft 17). In quechua diremmo un “Noqanchej”, il “noi” inclusivo che non lascia fuori nessuno. Che ci unisce in profondità come umanità.
Tania Avila Meneses
teologa indigena boliviana