Un viaggio planetario, sì proprio così. è un linguaggio che prendo in prestito dal pensiero maya- zapatista. Perché è di questo che si tratta: intraprendere un viaggio con la mente e il cuore che sia planetario, che ci riporti a ricostruire delle relazioni vere con le persone, con l’ecosistema e con l’intero cosmo. È qui l’invito che sento da questi due diversissimi documenti: la lettera enciclica di papa Francesco Fratelli tutti e il comunicato del 5 ottobre del popolo maya-zapatista. Due scritture diverse per prospettiva, perché vengono da storie e contesti differenti, ma ambedue raccolgono l’anelito nascosto che, nelle nostre culture ormai assorbite dalle fatali leggi del sistema socioeconomico, non riusciamo più a esprimere nemmeno come gemito, quel gemito inesprimibile che comunque richiede ascolto.

Accostando questi due testi, non credo di offendere o travisare il pensiero di papa Francesco e nemmeno quello dei maya zapatisti. In questo dramma in cui il mondo sta scivolando lentamente penso che dobbiamo essere molto contenti quando i nostri sogni coincidono. Questo viaggio è planetario perché scava nel senso profondo della vita, discerne i desideri che contano e che sono molto diversi dai bisogni indotti dal sistema mondiale totalizzante. Ciò che leggiamo nella lettera enciclica di papa Francesco Fratelli tutti sono parole che da tempo, molte e molti tra noi volevamo scambiarci. Parole di passione politica, desiderio di ricostruire il mondo e di farlo non più attraverso leggi economiche dettate dalla finanza mondiale, che in realtà gestiscono in lungo e in largo il ritmo dell’universo, ma ripercorrendo le vie dell’incontro e delle relazioni. Le parole dell’enciclica scendono nella situazione concreta di questo momento storico che stiamo vivendo. Descrizione e profilo della realtà mondiale che pesa però sugli spazi più piccoli del quotidiano. Sono parole che risuonano come utopia, nel senso più profondo del termine: nostalgia di un luogo abitabile per l’umanità e per ogni essere vivente ma anche per ogni particella che fa parte del cosmo che ci ospita. Spazio-terra, casa per l’umano, per le piante, gli animali, i doni del sottosuolo e quelli del cielo.

Ma la realtà non corrisponde ancora a questo desiderio, la realtà non è ancora casa. Si tratta di una storia che sta dando segni di un ritorno all’indietro e sogni che vanno in frantumi (cfr n.11); bisogno di consumare senza limiti e accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti (cfr n.13). Nuovi segnali di colonizzazione culturale, mentre i popoli alienano la propria tradizione e, per mania imitativa, violenza impositiva, […] tollerano che si strappi loro l’anima, perdono, insieme con la fisionomia spirituale, anche la consistenza morale e, alla fine, l’indipendenza ideologica, economica e politica (cfr n.14); scontro di interessi che pone tutti contro tutti e dove vincere viene a essere sinonimo di potere di distruzione (cfr n.16). È da questa inquietante situazione che sorge e ci viene posta una domanda: com’è possibile alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada? (cfr n.16). Se proviamo a rispondere potremmo incominciare dicendo che il primo passo è riconoscere gli altri come “vicini”, avere la percezione che siamo in un mondo di vicini e non di pericolosi nemici, sospetti o sudditi verso i quali ‒ usando il linguaggio del profeta biblico (cfr Is 53,2) ‒ non si riconosce nessuna bellezza e grazia e non si prova per loro nessun interesse o attrazione. Mi sembra di capire che alla parola “vicino” si dà nell’enciclica un’accezione molto ampia: non è vicino nello spazio ma nella sua condizione di essere umano.

Ma c’è un aspetto che mi interessa sottolineare e che non riguarda direttamente il contenuto del testo dell’enciclica di papa Francesco, ma piuttosto la metodologia ispiratrice che lo sottende. Scrutare e trovare il metodo è necessario; il metodo indica uno stile di vita e in quanto metodo, appunto, una possibile via. Fratelli tutti nasce dall’ispirazione di due incontri: uno antico di Francesco d’Assisi che si reca dal sultano di Egitto e Palestina Malik al-Kāmil. E un altro più recente, tra papa Francesco e il Grande Imam Ahmad al-Tayyeb, ad Abu Dhabi. Questi due dati ci mostrano già un primo aspetto di questa metodologia. L’humus dell’ispirazione che sollecita questa scrittura è Francesco d’Assisi e dunque l’ispirazione viene da molto lontano: più o meno 800 anni fa. Francesco d’Assisi non era uno sprovveduto giullare un po’ folle, come a volte ci vorrebbero far credere. Francesco d’Assisi conosceva bene la realtà del suo tempo e ogni sua trasformazione esistenziale rispecchiava questa conoscenza e vicinanza con la realtà che lo circondava. Per cui anche quel suo viaggio non era un caso, avveniva infatti in un momento molto violento e difficile: la quinta crociata.
La cosa interessante è che alcuni storici ci dicono che lo stesso sultano aveva proposto di porre fine a quell’odio in Egitto, cedendo Gerusalemme ai crociati. Proposta non accettata dai cristiani. Francesco si reca dal sultano dopo la sconfitta dei crociati. Oltre al racconto che ci giunge dalle Fonti francescane, c’è anche una testimonianza araba che conferma la presenza di un monaco cristiano presso la corte di Malik al-Kāmil. Al dire di alcuni storici, il sultano era una persona mite e saggia; colto e sollecito della giustizia e del dialogo, non amante della guerra. L’enciclica, dunque, nasce da due incontri simili e quindi è un invito a intraprendere un viaggio verso la differenza.

Ma è qui che si inserisce anche il comunicato maya-zapatista. È una strana coincidenza, ma alcuni giorni dopo la lettura dell’enciclica di papa Francesco, mi capitò di leggere uno degli ultimi proclami del gruppo indigeno-zapatista del Messico. L’enciclica di papa Francesco è datata 3 ottobre 2020, mentre il comunicato porta la data del 5 ottobre 2020. Mi è sembrata una bellissima coincidenza. Il titolo di questo comunicato è appunto: “Una montaña en alta mar”, una montagna in mare aperto. Anche questo messaggio è rivolto a sorelle e fratelli, compagne e compagni. Così inizia il testo. Bellissima utopia intesa sempre come ricerca del luogo dove abitare. Molto realisticamente si parla di intraprendere un viaggio, dopo essersi ascoltati ci comunicano ciò che vedono, ascoltano e sentono.

Anche per loro il mondo è malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone estranee tra loro, impegnate nella propria sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto pur di placare la sua sete di profitto, anche quando è chiaro che il suo percorso va contro l’esistenza del pianeta Terra. Da qui la proposta: abbiamo pensato a tutto questo nel nostro cuore collettivo, è tempo per noi, le/gli zapatisti, di corrispondere all’ascolto, alla parola e alla presenza di quei mondi vicini e lontani nella geografia. E così abbiamo deciso: che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione. La loro iniziativa è che uomini, donne e altri/e del colore della nostra terra, viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro. […] Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali. Ecco, san Francesco 800 anni fa, papa Francesco e l’Imam Ahmad al-Tayyeb oggi e i maya-zapatisti e chissà quante altre persone sconosciute, dentro e fuori di sé, hanno intrapreso o vogliono intraprendere il viaggio. Questa volta non per conquistare, né per accaparrare e nemmeno per annunciare verità assolute ma solo per riconoscere, per percepire sapienza utile alla ricostruzione di una casa comune. Per far questo non è possibile pensare che l’ispirazione ci arrivi solo da una parte: solo da una religione, o solo da pochi illuminati della nostra cultura. Questa nostalgia ci rende tutte e tutti mendicanti di piccole e grandi sapienze e verità di vita che ogni cultura, ricerca del divino e semplice conoscenza della vita portano con sé.

Antonietta Potente,
domenicana